Immagine, 1963
Alfio Castelli era nato a Senigallia il 20 settembre 1917. Nel 1933, grazie ad una borsa di studio, si iscrisse all’Istituto di Belle Arti di Firenze. L’ambiente fiorentino, altamente stimolante, fu decisivo per la formazione artistica. La vincita di un’altra borsa di studio gli consentì di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Roma nel corso di scultura. Nel 1939, per quanto ancora studente dell’Accademia, il suo nome iniziò a circolare negli ambienti artistici romani, grazie all’esposizione di un suo bronzo – ritratto di Carletto – alla III Quadriennale di Roma. Espose poi nella mostra alla Galleria del Teatro delle Arti con Mirko e Afro, con il quale strinse una forte e duratura amicizia. Nel 1941 ebbe la nomina di assistente della cattedra di Figura e Ornato modellato, presso il Liceo Artistico abbinato all’Accademia di via Ripetta. Nel gennaio del 1945 espose, con Mafai, Leoncillo, Scordia, Scialoja, Capogrossi, Gentilini, Franchina, Guttuso, Turcato alla Galleria San Marco alla prima mostra organizzata dalla Libera Associazione Arti Figurative, presieduta da Gino Severini. Tema prediletto erano i ritratti (alcune opere sono esposte alla Galleria d’Arte Moderna di Roma): di questo periodo i primi rapporti con Toti Scialoja e Piero Sadun. Nella frequentazione degli ambienti di Via Margutta entrò pure in contatto con Sandro Penna ed i corregionali Luigi Bartolini e Orfeo Tamburi.
Nel 1948 intraprese, grazie ad una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione il suo primo viaggio a Parigi, insieme con gli ormai inseparabili Toti Scialoja e Piero Sadun. Nella capitale francese restò colpito dagli impressionisti, da Giacometti e dalle sculture africane. A partire dai due gruppi “Amanti” e “Nudi” il suo linguaggio si caratterizzò indiscutibilmente per suture, spugnosità, granulazioni che sembrano sminuire e quasi scorporare le figure, le quali, per via delle modulazioni date dalla luce, potrebbero essere definite “espressioniste”: le suggestioni della plastica “primitiva” sono percepibili nella produzione subito successiva al viaggio, mentre l’influenza giacomettiana, attraversando una lunga fase di incubazione, trovò piena manifestazione solo anni dopo (non prima del 1953).
Gli vennero commissionati in questo periodo e per poco oltre, varie opere di carattere religioso per le chiese di diverse località del territorio maremmano; fra queste, va ricordata la Via Crucis e le due sculture – S.Giovanni Battista e S. Martino Vescovo di Tours – conservate nel Borgo San Martino di Cerveteri e formano l’oggetto dell’iniziativa voluta dalle Giornate Europee del Patrimonio Artistico Italiano del 2009 su proposta della Soprintendenza ai Beni Artistici Storici ed Etnoantropologici del Lazio (26-27 settembre). Opere analoghe sono state realizzate dall’autore in numerosi Borghi dell’Ente Maremma, sfruttando così l’opportunità di sperimentare diverse tecniche e materiali, con risultati significativi sul piano della luminosità e della ricerca cromatica.
Nel 1951 partecipò alla I Biennale Internazionale d’Arte di S. Paolo del Brasile. Due anni più tardi, tenne mostre personali alla Benjamin Gallery di Chicago e alla Landau Gallery di Los Angeles. Dopo tre presenze alla Biennale di Venezia con singole opere, la XXXII edizione del 1964 riservò a Castelli un’intera sala in cui vennero sistemati cinque grandi bronzi tra cui la “Muraglia Umana”, orchestrata su ritmi drammatici di sbrecciate superfici di “intonaco” bronzeo che assorbivano, nell’idea del muro, la struttura antropomorfa e finivano per somigliare ai resti di un ambiente diroccato.
Dal 1970 le variazioni sul tema sferico occupano per intero la sua ricerca artistica, in una poetica delle masse, dei piani e dei volumi. Castelli avvertì questa situazione come una sorta di inaridimento della libertà inventiva e, nella ricerca accanita di nuove soluzioni, si venne a trovare in una spirale labirintica. Cadde in una crisi espressiva: tentò di rivolgersi ancora alla figurazione, ma distrugge tutte le sue nuove opere: per uscire dalla crisi, Castelli si spostò dalla ormai satura ricerca nell’ambito dell’opzione sferica al suo esatto opposto, il rettilineo e la superficie piana.
Progressivamente si estraneò dai circuiti espositivi e di mercato e tutte le energie vennero rivolte alla ricerca e alla produzione artistica. Nel 1978 divenne titolare della cattedra di Scultura. Nel 1982 compì la scelta consapevole del rifiuto a partecipare a rassegne espositive, chiudendosi in un isolamento interrotto nel 1986 per partecipare alla XI Quadriennale romana.
Alla fine della sua carriera, lo scultore ritrovò quella sintesi, che lo aveva portato a coniugare astratto e figurativo, con il “Monumento agli operai cantonieri caduti sul lavoro”, che si può ammirare sulla via Appia, nel vasto piazzale d’incrocio con il Grande Raccordo Anulare.
Il 19 dicembre 1992 morì all’età di 75 anni.
Il progetto di un Museo senigalliese del ‘900, cioè il progetto di una raccolta, capace di documentare le esperienze artistiche emergenti del secolo appena trascorso, ha rappresentato una delle attività principali condotte dal Musinf, raccogliendo, per la scultura le opere di Enrico Mazzolani, Silvio Ceccarelli, Alfio Castelli, Romolo Augusto Schiavoni. Con ciò documentando le testimonianze di scultori senigalliesi, che hanno rappresentato le tappe qualificanti della plastica novecentesca italiana. Questa raccolta è oggi esposta presso la Rocca Roveresca di Senigallia. Il Musinf ha partecipato ad iniziative internazionali riguardanti le sue raccolte di fotografia, ma anche ad iniziative internazionali riguardanti le sue raccolte di scultura, come è stato per la mostra di opere dello scultore Alfio Castelli presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Mosca.
Opere scultoree – Musinf, Rocca Roveresca, Senigallia (AN)
Scultura “Immagine” – Pinacoteca Civica, Ancona